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Commitment to innovation.

Mercedes Pardo Martinez

Direttore di Studio GLP

Cosa volevi fare da piccola? Quale è stato il tuo percorso?

Non avevo le idee molto chiare da piccola. (ride, ndr) Come molte altre bambine, avrei voluto spiccare e fare carriera grazie al mio sport, la pallavolo: sognavo di fare la pallavolista; ma poi ho capito che non avrei potuto vivere di pallavolo.

Con l’inizio del mio percorso al liceo scientifico, ho capito che mi piaceva molto la chimica. Mi interessava, ed essendo anche molto brava non ci ho pensato troppo; è stata una scelta naturale. Mi sono laureata in Chimica in Spagna, a Murcia. E dopo quattro anni di dottorato di ricerca, mi sono trasferita in Italia nel 2001 con una borsa di studio post-dottorato, che mi ha concesso di frequentare l’Istituto Mario Negri a Milano. Inizialmente, l’idea era di tornare in Spagna, ma essendo ormai sposata - con un italiano - ho deciso di restare definitivamente in Italia. Sono arrivata in ChemService nel 2004, quando l’azienda si era appena trasferita nei laboratori nuovi, e sono rimasta.

Com’è la tua giornata-tipo? Cosa fa un Direttore di studio?

Arrivata in ufficio, per prima cosa, mi interfaccio con le persone con cui lavoro, per organizzare la loro giornata lavorativa. Bisogna capire le analisi in corso, i progetti aperti, e come organizzarsi con gli strumenti. Poi leggo la posta elettronica, tra le risposte alle e-mail, le telefonate con i nostri clienti, e lo scambio di informazione con i nostri commerciali, scrivo i reports BPL che poi saranno ispezionati dal nostro QA, prima di essere inviati ai clienti.

Quello che faccio è quello che fa ogni Direttore di studio, prendo in carico uno studio firmando una lettera di incarico da parte del Test Facility Manager che dirige il Centro di Saggio, capisco dall’offerta qual è il lavoro da svolgere, contatto lo sponsor o cliente per sollecitare i documenti necessari. Scrivo protocolli di studio per il lavoro specifico e dettagliato. Il protocollo viene inviato al QA per la sua ispezione e poi condiviso con lo sponsor per la sua approvazione. Una volta finalizzato e firmato, si procede con la parte sperimentale assieme ai nostri tecnici di laboratorio – io mi occupo di organizzare il loro lavoro e lo svolgimento delle analisi. Alla fine, scrivo un report dettagliato con i risultati ottenuti, e anche questo viene poi ispezionato dal QA e condiviso con lo sponsor. Lo studio BPL finalizzato può, così, essere usato in un dossier per registrare il prodotto in tutto il mondo. I nostri clienti, infatti, non sono soltanto italiani. Possono essere di un qualsiasi paese europeo, o addirittura extra continentale, perché abbiamo parecchi clienti cinesi, indiani e americani.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Sicuramente che è molto vario: ogni giornata è diversa, a sé. A volte è anche stancante, perché si deve saltare da un lavoro all’altro – non ci sono analisi routinarie - ma è stimolante. Ed è interessante l’interazione che crea il lavorare con tante persone, sia collaboratori che clienti. Mi piace moltissimo il fatto di avere a che fare con clienti provenienti da tutto il mondo. Quando ci sono clienti spagnoli, spesso è mio compito parlare con loro, anche perché penso che per loro sia gradito parlare nella loro lingua madre. Mentre, qui in azienda, gestisco il lavoro del dipartimento studi insieme ad altri tre direttori di studio; ognuno di noi ha dei tecnici di riferimento con cui collabora principalmente nei progetti assegnati, ma comunque siamo tutti in contatto, molto versatili e intercambiabili. Io, ad esempio, ho tre persone di riferimento che seguono i miei progetti, ma poi possiamo avere a che fare con tante altre persone del gruppo.

Come scegli le persone per il tuo team?

Allora… (riflette, ndr) Sicuramente deve esserci una base scientifica, perché il nostro dipartimento è molto focalizzato sulla parte analitica. Il percorso scolastico e il titolo di studio devono essere coerenti con il nostro lavoro e si deve anche inquadrare l’esperienza pregressa della persona.

Poi, nelle interviste, sarebbe da capire se la persona è versatile, anche se questo a volte lo si capisce solo dopo, forse nel lavoro quotidiano. Se la persona avesse questa attitudine innata, sarebbe sicuramente ottimo, considerando la nostra tipologia di lavoro. Infine, è necessario l’interesse, che serve per apprendere e apprezzare quello che viene detto da chi può insegnare. Le nuove generazioni, a volte, in questo fanno un po’ fatica, o, forse, è che adesso le persone cambiano spesso il posto di lavoro, e non hanno particolarmente a cuore l’impegno che si impiega nella loro formazione.

Qual è la lezione più importante che hai imparato?

Sicuramente che siamo tutti diversi, quindi non puoi avere lo stesso approccio con tutti e non puoi pretendere lo stesso da tutti. Bisogna capire quali sono le capacità delle persone, per farle crescere, soprattutto quando si diventa DS. Io cerco di far crescere le persone: chi ha le capacità, cresce, se la indirizzi bene. Alcune sono anche cresciute insieme a me ed è molto bello aver vissuto insieme questa esperienza. Addirittura, c’è anche chi è diventato più in gamba di me!

Ora mi piacerebbe che chi è oggi DS avesse la mia stessa visione e desse le stesse opportunità a chi può crescere, anche perché l’azienda lo permette.

Come hai vissuto l’inclusione in LabAnaysis Group?

L’ho vissuta bene. La differenza che ho notato è che prima c’era un clima molto più statico, mentre ora c’è più movimento. Il fatto di cambiare ruolo, avere diverse mansioni, secondo me è positivo, anche per il futuro. Sono entrate tante persone e speriamo che nella nuova sede ci sia più spazio per muoversi. Ci sono stati tanti cambiamenti, e a volte è persino difficile stare al passo, ma è appagante. C’è sempre opportunità di portare avanti nuovi progetti, con nuove tecniche analitiche e con l’acquisto di strumentazione all’avanguardia per dare un riscontro alle richieste di mercato.

Tu come ti vedi tra dieci anni?

Ah, non lo so (sospira, ndr). Mi auguro che il dipartimento e l'azienda crescano. Forse, mi piacerebbe ampliare la mia conoscenza in altri aspetti del nostro lavoro (registrativi, commerciali…) e continuare a crescere anch’io. Ma dieci anni sono veramente tanti. Le cose possono cambiare davvero tantissimo…già è difficile prevedere da un anno all’altro! Quando decisi di trasferirmi qui fu una scelta di vita, con mio marito, che purtroppo non c’è più. Ora ho mia figlia Mercedes, - che ha il mio stesso nome, come vuole una tradizione spagnola – e lei è cresciuta in Italia ed ha le sue radici qui. Ma la vita è stracolma di sorprese ed imprevisti ed è per questo che non so cosa potrebbe accadere e dove sarò fra dieci anni.

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